Lettere a Litchfield – “Fate tornare i ragazzi a cantare fuori da scuola”

“La pandemia rende il percorso inclusivo a scuola ancora più complicato. Tutto è lontano, vuoto, meccanico. Ma loro, questi ragazzi speciali, continuano a essere presenti, disponibili, gentili. Dicono ‘grazie per quello che fa’ e sembrano cogliere anche la nostra di difficoltà. Questo ci dà forza, ci spinge a non mollare”.

Ci scrive Annarita Tallo, 36 anni, insegnante di sostegno all’Istituto tecnico e professionale di Inveruno, in provincia di Milano. In questa lettera, dedicata ai suoi studenti, parla degli adolescenti che quest’anno hanno dovuto convivere con solitudine e distanze forzate dagli amici, dalla socialità e da tutto quello che rappresenta la scuola per i ragazzi di questa età.

Tallo ha deciso di dedicare queste righe ai suoi studenti, con riconoscenza. “Mi dicevano: ‘Ti danno tanto’, ma io non ci credevo. Poi un giorno inizio la lezione con la bufera dentro e termino con la pace. Appena chiudiamo la videochiamata mi rendo conto che sono stati loro a trasmettermi questo senso di benessere”. 

Annarita Tallo

Riceviamo e con piacere pubblichiamo questa lettera:

“’Cantano i ragazzi all’uscita di una scuola’, diceva Marco Masini. Oggi non è più così. Oggi i ragazzi sono a casa, dietro un pc, e se cantano o sbraitano non lo sapremo mai.

Nessuno se ne accorge, ma loro ci sono. E se c’è una parte che approfitta di questa situazione, c’è un’altra parte che resiste. Questi ragazzi stanno dietro ai cambiamenti d’orario, alle settimane alternate, alla Dad al 100 e poi al 50 per cento, alle email, ai file che non si inviano, alle connessioni che fanno i capricci.

E forse manderebbero tutto all’aria, forse non ce la fanno più, forse stanno crollando, ma riescono ancora a essere gentili.

In un mondo chiuso quando loro vorrebbero evadere (che a 16 anni ce lo ricordiamo ancora bene come si stava), in un mondo pandemico che falsa i dati e chissà quanto altro ancora, che ci prende per il culo e ci impone misure che ormai nessuno capisce, loro ci sono.

Nella follia totale di una realtà ormai alterata, nello spazio di un mondo che li vede, ahimè, protagonisti passivi di un processo di formazione sfasato, che in un modo o nell’altro li segnerà, loro ci sono.

Nelle pause durante i momenti morti, nei lavori di presentazione, nei colori scelti, nelle frasi dette, in tutto quello che scrivono, che riescono a dire, a far passare, con i dubbi laceranti di un’età complessa, plasmati dal sogno in itinere di tutto quello che devono e che vogliono diventare, loro ci sono.

Mossi dall’incertezza, dalla sfrontataggine, dal menefreghismo, dalla costanza, dalla voglia di rivedersi, di ridere, di parlare, di guardarsi negli occhi. Loro ci sono. Lì, fermi, stabili, ancora vivi.

E sono pronti a tornare in classe se dicono loro di tornare, a restare a casa se dicono di rimanere. Sono pronti a collegarsi alle 8, poi alle 10, a ripassare, a farla in classe la verifica, che è meglio.

Loro si fidano ancora di noi.

E pazienza se si perderanno i primi sguardi d’amore nei corridoi, pazienza se
non riusciranno a fare gruppo, se non organizzeranno festini il sabato sera, se non condivideranno i pomeriggi di studio, i lavori di gruppo, le uscite scolastiche, le prime notti fuori da soli, le sigarette al balcone con la paura di essere scoperti.

Pazienza se si stanno perdendo un pezzo di realtà che nessuno mai più darà loro indietro.

Si ok, si prof, grazie prof. Loro ci sono, con dentro un mondo che non conosciamo. E sono gentili.

Ecco, la loro gentilezza salverà il mondo vorrei dire, ma so che non è così.
La loro gentilezza non ci salverà dalla pandemia, ma riscatta in qualche modo l’essere umano.

La loro gentilezza ci porta all’essenza delle cose, ci libera dalle frustrazioni
quotidiane e riesce a smuovere un sorriso. E che regalo immenso sorridere ancora!

A loro, a questi guerrieri silenziosi dall’animo gentile, dico grazie. Dal cuore.

Facciamoli tornare a cantare, se lo meritano“.

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