“Grazie per aver sentito ‘il bisogno di reagire e lottare per una scuola migliore che rispecchi’ le vostre esigenze”. Alberto Locatelli, 38 anni, è professore di Storia e Filosofia al liceo scientifico Severi-Correnti di Milano. Durante l’occupazione di venerdì 15 gennaio ha dormito a scuola insieme ai ragazzi. Per tenerli d’occhio e per essere presente nel caso avessero avuto bisogno di qualcosa, certo. Ma non solo. La sua, ci spiega, è stata una scelta motivata dal ruolo che ricopre: “Con questa decisione sono stato testimone coerente del mio modo di intendere l’educazione”.
In questa lunga lettera, che condividiamo, ci racconta com’è andata e ci offre diversi spunti di riflessione.
“Stamattina mi sono svegliato nel ‘Mio Disimpegno Bianco’, a fianco alla ‘Loro Palestra Blu’. Stanco, infreddolito, ma soddisfatto, sereno e felice.
Sereno perché nelle ore precedenti nulla era accaduto di ciò che più temevo: qualche collega, con più anzianità di servizio del sottoscritto al Severi-Correnti, mi aveva ragguagliato su tristi episodi di furti e devastazioni che sembrava avessero accompagnato passate occupazioni. Per fortuna, quello che mi sono permesso di osservare, dal mio privilegiato punto di vista di testimone oculare, sono stati studentesse e studenti che, pacificamente consapevoli della forza del loro gesto, si riappropriavano della scuola come luogo di confronto e socialità, ormai da troppo tempo fisicamente assente dalle nostre vite, scolasticamente condivise. Per fortuna nessuna devastazione, nessun furto. Nessuno è stato lasciato fuori, dalla scuola o dalla classe. Solo sana e responsabile voglia di tornare a scuola, di
riabitare uno spazio ormai abbandonato.
Ieri, venerdì pomeriggio, dopo aver condiviso e sostenuto la mattinata di protesta, ho deciso, in accordo con la dirigente scolastica e le autorità di pubblica sicurezza, di rimanere durante la notte per offrire supporto a ragazze e ragazzi ed alle suddette Autorità un filo diretto in caso di emergenza.
Ora vorrei rendervi partecipi di altre considerazioni che mi hanno spinto a compiere questa scelta. Ho riflettuto a lungo, negli anni, oltre che negli ultimi mesi e nelle ultime ore, sul mio ‘ruolo’ di educatore, parola cui mi sento etimologicamente e professionalmente più vicino e legato rispetto al termine insegnante.
Credo che il primo ingrediente per star bene in classe e tra i corridoi, per poter lavorare proficuamente assieme, sia mettersi in gioco, senza remore, senza paure, facendo sul serio, ma senza mai prendersi troppo sul serio. Cerco di farlo sempre con il sorriso, è il mio modo di vivere e di pensare: la leggerezza che prova ad andare a fondo, sfiorare la profondità con delicatezza, senza orgoglio, con passione, rigore e rispetto.
Penso che il rapporto in classe possa e quindi debba essere biunivoco: la creatività adolescenziale ed il loro coraggio spensierato – anche se a volte ingenuo, anzi forse proprio per questo – possono essere stimolo importante per noi adulti sovente irrigiditi da stanchezze fisiche e mentali e affezionati a narcisistiche consuetudini che rischiano di portarci ad un indurito ripiegamento su noi stessi. Troppo spesso ho visto la relazione docente-discente ridursi ad un mero rapporto gerarchico in cui l’autorità s’impone con le chiavi del timore reverenziale e del rispetto dovuto, insegnando l’obbedienza, invece che educando alla responsabilità.
Ho imparato a non dar nulla per scontato nella vita, men che meno in classe: a conquistarmi giorno dopo giorno un rispetto non-dovuto, spiegando le mie scelte, nella convinzione e speranza che potessero essere condivise.
Non credo che questo significhi, come a volte mi è stato fatto notare, abdicare al mio ruolo, ‘giocare a fare lo studente’. Sono convinto, diversamente, che questa ricerca di un equilibrio relazionale non garantito sia il sentiero migliore per vivere e declinare con responsabilità ed efficacia quel mestiere che, senza empatia e umiltà, non farebbe che ridursi a subdola imposizione di un’autorità vuota e inefficace. Ce la faremmo a mantenere classi piene di ragazzi senza quel potere di cui crediamo di essere legittimi beneficiari? Non è la paura che ci sfugga la situazione di mano a spingerci ad utilizzarlo, scegliendo troppo spesso la strada più comoda dell’autorità invece che quella più faticosa dell’autorevolezza?
La nostra ‘posizione educante’, in classe, sgorga da un’esperienza, disciplinare e non, di cui siamo fortunati portatori e di cui dobbiamo essere responsabili traghettatori, non da una gerarchia precostituita. Se le logiche di potere s’insinuano tra i muri delle aule e dei corridoi, rivolte ad adulti o, peggio, a ragazzi, si rischia di rovinare quello che per me è il mestiere più bello del mondo: donare ad un’altra persona strumenti che possano esserle utili a comprendersi, aiutarla a crescere, a maturare. Ritengo infine che l’esempio significhi molto nell’educazione: avere il coraggio della coerenza, dell’azione critica e consapevole è il modo più bello, efficace e giusto perché la nostra esperienza si trasmetta. Per questo ho scelto di rimanere a fianco a questa protesta: come testimone coerente del mio modo di intendere l’educazione.
Invito quindi tutti (studentesse e studenti, docenti, genitori, personale Ata e dirigente) a godere della splendida vista della ‘luna’ che queste ragazze e ragazzi ci stanno indicando, lottando per tornare a scuola, e di non soffermarsi sul ‘dito’, su gesti che ad alcuni potrebbero sembrare estremisti, pericolosi e che invece di estremo credo abbiano solo la disperazione per una situazione ormai non più sostenibile e la consapevole e responsabile voglia di tornare in classe, in presenza, in sicurezza. Un gesto per cui, da docente, mi sento solo di poter, e quindi dover, ringraziare: ragazze e ragazzi che protestano per tornare, con noi, in classe! La realtà che supera, in meglio, l’immaginazione!
Grazie quindi ‘occupanti del Severi-Correnti’. Grazie per aver ribadito di essere ‘prima di tutto persone, non macchine, mere esecutrici di una volontà passiva a cui adeguarsi’. Grazie per aver sentito ‘il bisogno di reagire e lottare per una scuola migliore che rispecchi’ le vostre esigenze. Grazie per aver rilanciato l’idea di un dialogo trasversale all’interno dell’istituto con ‘un’Assemblea sul “Senso e l’importanza della Scuola”‘, ci sarò. Grazie per averci ricordato che tornare a scuola, in sicurezza, è possibile e quindi doveroso. Grazie per aver chiesto e preteso che Regione Lombardia faccia nelle prossime due settimane ciò che non ha fatto in quasi un anno di pandemia: attuazione del già predisposto piano prefettizio per il potenziamento del trasporto pubblico, presidi sanitari nelle scuole, tamponi antigenici rapidi per le popolazioni scolastiche oltre all’inserimento di vaccinazioni prioritarie per gli insegnanti, soprattutto se anziani, da parte dello Stato.
Farò di tutto perché il vostro saluto alla Palestra Blu non sia stato ‘un addio’, bensì ‘un arrivederci’, perché alla scuola, con lungimiranza e investimenti, venga data la centralità che le è dovuta in una democrazia che vuole essere matura e di cui, nel nostro Paese, è stata privata da priorità distorte e politiche a dir poco miopi!”.