Fabio, la Statale e il coronavirus: “Spiego l’evoluzione dei contagi in Lombardia su Instagram. Ora è la mia tesi di laurea”

“Le università sono il luogo a cui, da mesi, tutti guardano per avere risposte sul nostro futuro”. Fabio Riccardo Colombo, 25 anni, studia Scienze politiche alla Statale di Milano. Da due anni è anche il presidente della Conferenza degli studenti, l’organo che all’interno dell’ateneo si occupa di rappresentare gli iscritti. A marzo doveva sostenere il suo ultimo esame prima della laurea, ma l’emergenza sanitaria ha fatto saltare l’appello. Da allora ha iniziato a raccogliere dati sulla diffusione del coronavirus in Lombardia: oggi, quei numeri, sono diventati una tesi di laurea.

L’idea è nata nei giorni del lockdown quando, chiuso nella sua camera in affitto, a Milano, ha iniziato a spiegare grafici e statistiche dei contagi su Instagram. “Terminati gli studi, mi piacerebbe lavorare nel mondo dell’analisi dei dati, uno strumento essenziale per decifrare le complessità della nostra epoca, per comprenderci di più, come comunità, e per orientarci nelle scelte”.

Partiamo dall’inizio. Come ha vissuto il lockdown?

“Meglio del previsto. In passato mi ero scontrato spesso con le mie debolezze, dagli attacchi di panico all’ipocondria. E così, alle prime avvisaglie, ho capito che avrei dovuto fare di tutto per rimanere lucido. Ho deciso di non muovermi dalla mia camera in affitto a Milano e di non tornare in Brianza, per non mettere in pericolo la mia famiglia. Ma, soprattutto, ho deciso di informarmi e informare gli altri su quanto stava accadendo al di fuori della mia stanza”.

In che modo?

“I principali organi di stampa erano in balia delle dichiarazioni, spesso discordanti, di politici e scienziati, nel tentativo di capire un problema più grosso di noi. Tutto questo però trasmetteva, a chi era a casa, molta preoccupazione e generava allarmismo. Così ho deciso di creare un format, ‘Il punto del giorno’. Ogni sera, sul mio profilo Instagram, ho iniziato a raccontare l’evoluzione del quadro epidemiologico in Lombardia attraverso dati e grafici, ma anche le scoperte, le speranze e qualche curiosità, come la notizia più bizzarra delle ultime ventiquattro ore”.

Ha funzionato?

“Sì, almeno per me: sono riuscito a rimanere tranquillo nonostante le decine di sirene che sentivo passare ogni giorno tra viale Monza e via Padova. In molti mi scrivono ancora per chiedermi informazioni e per essere rassicurati. Ora tutto il materiale che ho raccolto in questi mesi è diventato la mia tesi di laurea”.

Una tesi di laurea sul coronavirus in Lombardia: ci spieghi.

“A fine marzo mi mancava un solo esame e stavo iniziando a preparare la tesi, in Statistica. Durante il lockdown però ho raccolto molti dati sull’evoluzione dei contagi in Lombardia: così ho contattato il professor Carlo La Vecchia, che insegna Epidemiologia alla Statale, per sapere se questo materiale potesse essere utile a qualcosa. A quanto pare sì e ora ho appena concluso la mia tesi di laurea che, inaspettatamente, non sarà più di statistica elettorale, ma sanitaria. Il tema è l’impatto delle diseguaglianze socio-economiche sull’epidemia di Covid-19 in Lombardia”.

In che modo, invece, il coronavirus ha cambiato la vita degli studenti?

“Da un giorno all’altro ci siamo trovati il portone chiuso: lezioni sospese. Il passo successivo è stata la chiusura di bar e ristoranti, che per molti universitari fuori sede rappresentano l’unico modo per mantenersi durante gli studi. Ho ricevuto diverse chiamate di compagni che si sono trovati, da un giorno all’altro, senza lavoro e quindi senza soldi per pagare la seconda rata, che scadeva di lì a poco. Qualcuno si è trovato anche senza casa”.

Ci racconti cos’è successo in quei giorni.

“Il 21 febbraio, in serata, arriva la notizia del primo caso di Covid-19, a Codogno. Poco dopo l’ateneo comunica che le lezioni sono sospese fino alla fine della settimana seguente. Non sapevamo a cosa stavamo andando incontro. In quella settimana ho parlato con il rettore, Elio Franzini, per capire che indicazioni dare agli studenti, ma non ho ottenuto molto da quell’incontro. Va detto però che tra i primi specialisti che si sono occupati dei pazienti Covid in Italia c’erano i docenti della Statale. In quei giorni l’ateneo era schiacciato tra due fuochi: da un lato quello politico, con l’ordinanza restrittiva precauzionale della durata di sette giorni, dall’altro quello della comunità scientifica, che già sospettava che quello che stavamo vivendo non era che l’inizio di un qualcosa che non sarebbe durato poco. Erano i giorni dello slogan ‘Milano non si ferma’, ahinoi”.

E poi, cos’è successo?

“La settimana dopo sono tornato a confrontarmi con il rettore e i presidi delle varie facoltà. Iniziava a delinearsi un quadro più chiaro ed erano partite le prime lezioni online. Ormai era evidente che quella era l’unica scelta possibile. Poi sono iniziate anche le sessioni di laurea in via telematica e gli esami, ma solo quelli orali: gli scritti, invece, erano sospesi. Serviva fantasia, inventiva, non c’erano alternative. Nel giro di pochi giorni l’ateneo più grande di Milano ha spostato tutte le sue attività online e così si è andati avanti fino alla fine dell’anno accademico a colpi di Dpcm che non andavano oltre le due o tre settimane”.

A fine maggio la fine del primo lockdown: cos’è cambiato per voi studenti?

“Hanno iniziato a riaprire alcune biblioteche, ma solo per poche ore, e le postazioni destinate allo studio. Nel frattempo, i tecnici si sono messi al lavoro per preparare le varie sedi dell’ateneo a una sfida ancora più grande: la didattica mista. Tutte le aule sono state attrezzate con webcam e pc e l’ateneo ha fatto un grosso investimento per ampliare la rete informatica. Questo ha consentito anche lo svolgimento delle elezioni dei rappresentanti degli studenti, che per la prima volta nella storia dell’ateneo si sono svolte online, a fine novembre. E non è stata una cosa da poco: c’erano 12 liste con centinaia di candidati e bisognava riuscire a far votare in poche ore più di 50mila persone senza che il sistema andasse in tilt. In tempi normali, avremmo avuto cabine elettorali, urne, banchetti, volantini, dibattiti, manifesti e più di venti seggi tra Milano e la Lombardia”.

E adesso?

“Da settembre le attività che avvengono in presenza sono davvero poche. Il numero di persone che si sposta per andare in università è irrisorio. La Statale ha fatto un sacrificio enorme a costo di svuotare aule, corridoi, cortili e biblioteche, ben prima della seconda ondata”.

La Statale e l’emergenza del coronavirus: promossa o bocciata?

“All’inizio sembrava la meno coraggiosa: altri atenei avevano dato fin da subito indicazioni chiare, per esempio su quali lezioni svolgere in presenza. La Statale ha saputo dare qualche certezza in meno e questo ha comportato anche qualche disguido. Ma l’attenzione a non lasciare indietro nessuno ha prevalso sulla fretta di arrivare prima. Questo, insieme alla dedizione con cui ho visto lavorare, spesso al buio, tutta l’amministrazione per adattare il nostro ateneo alla nuova situazione, non mi lasciano dubbi: promossa”.

Milano si è svuotata. Che effetto le fa?

“Molti studenti hanno lasciato la città, ma non per questo gli studi. Anzi, i dati ci dicono il contrario di quello che, fino a qualche mese fa, temevamo.
La Statale ha incrementando del 10 per cento le immatricolazioni e sta sfiorando i 60mila iscritti”.

I problemi però restano. Quali sono le principali difficoltà degli studenti in questa emergenza?

“La prima cosa di cui un universitario ha bisogno per seguire le lezioni online è una buona connessione a internet che non si scolleghi durante gli esami altrimenti si può incorrere nell’annullamento della prova. In alcuni Paesi la banda larga inizia a essere un diritto costituzionale, in Italia, invece, è ancora un privilegio, soprattutto per chi vive in zone isolate o se si deve condividere la connessione con altri familiari. Poi c’è il problema dei dispositivi: non tutti gli studenti hanno un pc. Ma su questo la Statale ha fatto uno sforzo fornendoli alle matricole con un Isee inferiore ai 15mila euro”.

E poi?

“Un altro problema riguarda i costi per lo studio. Negli ultimi mesi si sono create nuove fasce di povertà: molti hanno dovuto congelare la propria carriera universitaria. Su questo però l’ateneo è intervenuto con una riforma della tassazione, che ha reso più equa e progressiva. Ed è arrivato anche un provvedimento del ministero che ha esentato dal pagamento delle spese universitarie gli studenti con Isee inferiore a 21mila euro. Tutto questo ha evitato un esodo dalle università”.

Cosa chiede al governo?

“Fondi. Per la ricerca, la didattica e gli enti locali, che devono garantire il diritto allo studio e i servizi essenziali. Ci rendiamo conto di non essere gli unici, ma finanziare l’università significa investire su un futuro migliore per tutta la comunità. L’appello più forte però lo facciamo al Comune di Milano”.

Cosa chiede al sindaco Sala?

“Milano è una città universitaria, la seconda in Italia. Purtroppo però sono anni che vediamo poco o nulla che ce lo faccia ricordare. Mancano i servizi. Gli alloggi destinati agli iscritti sono sotto numero da tempo, non ci sono abbastanza spazi per studiare e il costo della vita è troppo alto. Chiediamo delle agevolazioni per chi vuole studiare a Milano”.

Per esempio?

“In questi mesi abbiamo visto vie, piazze e parcheggi mangiati dai dehor di bar e ristoranti. Molti studenti che vivono in un piccolo appartamento o con i genitori in telelavoro hanno approfittato di queste situazioni per farne la propria scrivania. In altre città però l’asfalto è stato mangiato anche da biblioteche, postazioni studio all’aperto, spazi di socialità liberi dall’obbligo di consumo, eventi culturali o ludici per giovani. Ecco, una città universitaria non può essere tutta in vendita, ha bisogno di spazi liberi per socializzare, studiare, imparare, condividere, crescere. L’emergenza sanitaria che ci spinge a vivere più larghi, a riappropriarci degli spazi all’aperto, poteva essere una grande occasione, ma ad oggi non è stata sfruttata. Purtroppo l’emergenza non sembra terminare. Proviamo però a fare tesoro degli insegnamenti positivi che ogni disgrazia porta con sé”.

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