Matteo, studente del Politecnico in fuga da Milano: “Il governo pensa più alle discoteche che alle università”

“Sono tornato a Piacenza, a casa dei miei genitori, a metà febbraio. Avevo finito la sessione d’esami. Ignaro di tutto quello che sarebbe successo da lì a poco, ho fatto la ‘valigia dei due giorni’ perché avevo intenzione di fermarmi solo il weekend per salutare i parenti, e poi sono rimasto e non ho più confermato l’appartamento a Milano”.

Matteo Boveri, detto “Johnny Shock”, ha 23 anni ed è iscritto al Politecnico. Corso di laurea in Ingegneria gestionale. “Per fare contenta la mamma”, precisa. In realtà, nella vita vuole fare la rockstar. Oppure l’attore e il drammaturgo. In ogni caso, “possibilmente non l’ingegnere”. Per questo, ha studiato Recitazione e drammaturgia alla scuola civica di teatro “Paolo Grassi” di Milano, quella che definisce la sua principale occupazione.

Il coronavirus ha stravolto la sua vita di studente universitario impegnato, tra le altre cose, nella redazione della web radio d’ateneo e come rappresentante degli studenti. In questa intervista ci racconta come sta vivendo questi lunghi mesi di isolamento tra lezioni online, esami a distanza e l’addio a Milano.

Matteo Boveri 

Com’è andata?

“Ho vissuto il lockdown abbastanza serenamente: l’idea che fosse una condizione comune a tutto lo stato, in certi momenti a tutta l’Europa, mi ha rassicurato. C’è da dire che faccio parte di una categoria privilegiata: i miei genitori non hanno perso il lavoro, nessuno dei miei parenti stretti si è ammalato, sono riuscito a seguire tutte le lezioni a distanza e, non essendo impegnato su nessun fronte, ho passato più esami del consueto”.

Cosa le manca di più?

“Ha iniziato a mancarmi la vita in presenza solo quando, a settembre, hanno riaperto le università e ho visto tutti i miei amici tornare al Poli, mentre io ero ancora a casa. Sono anche il responsabile legale di Poli.radio, la web radio degli studenti del Politecnico di Milano. E faccio rappresentanza con la lista ‘La terna sinistrorsa’. Seguire tutto a distanza, alla lunga, è diventato molto frustrante, non solo perché è difficile rimanere aggiornati, ma anche perché le mie funzioni sono operative. E poi mi manca il momento di divertimento dopo una riunione o una puntata in radio”.

Cosa ha fatto durante il lockdown?

“Mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a seguire tutte le lezioni, a stare al passo con lo studio e, per la prima volta, ho cominciato a fare esercizio fisico. Ripensandoci ora, a mente fredda, penso che fosse un modo per alienarmi e non pensare alla situazione che stavamo vivendo. Del resto, faccio ancora fatica a capire che è passato del tempo da marzo a oggi, però sono soddisfatto di come ho affrontato quei mesi”.

Com’è andata ai suoi colleghi?

“La maggior parte dei miei amici ha passato i primi mesi in casa nel delirio o nell’apatia, senza fare niente dalla mattina alla sera. È stato veramente un brutto momento e mi è dispiaciuto parecchio per loro. Poi, quando la situazione è tornata nella norma, in estate, si sono gettati in Sardegna ad assembrarsi in discoteche costosissime come se nulla fosse successo, e mi è dispiaciuto un po’ meno. Ovviamente non ne faccio un discorso generale. Tanti miei coetanei sono molto responsabili, ma l’algoritmo di Instagram sembrava fosse interessato a mostrarmi solo chi tra i miei contatti non rispettava le norme”.

La sua università come ha risposto all’emergenza?

“Il Politecnico è stata una delle prime università a convertire tutta la didattica a distanza: in linea di massima, abbiamo ritardato il calendario accademico di una sola settimana. Lo stesso discorso vale per le prime lauree telematiche. Purtroppo, fino a pochi giorni prima dell’inizio delle lezioni di settembre, non si conosceva la politica di ateneo sulla didattica a distanza e quanti giorni in presenza avremmo dovuto fare”.

Quali difficoltà affrontate ogni giorno come studenti?

“La maggior parte di noi non aveva la strumentazione o la linea internet adeguata a seguire le lezioni a distanza. Per quanto riguarda gli esami di giugno e luglio, al Politecnico, le condizioni di svolgimento erano molto restrittive: bastava che cadesse la connessione durante una prova per vedersela automaticamente invalidata. Capisco che fosse una mossa per evitare che gli studenti copiassero in massa, come era accaduto nei mesi precedenti in altre università, ma aggiungere un motivo di agitazione in più sicuramente non ci ha aiutati. Personalmente non ho nulla di cui lamentarmi perché ho incontrato docenti che hanno cercato di venirci incontro in tutti i modi possibili, però ho sentito dei racconti veramente assurdi su certe prove”.

Politecnico: promosso o bocciato?

“Se nei primi mesi si è attrezzato con una tempestività invidiabile, sia per le lezioni che per le lauree a distanza, ci sono molte questioni che potevano essere affrontate meglio. Fino all’ultimo momento non era chiaro se ci sarebbe stata la didattica a distanza garantita per tutti e, di certo, questa incertezza non ha aiutato chi si trova in situazioni di difficoltà economica. Certo, è stata innalzata la no tax area per esonerare dal pagamento delle tasse universitarie le famiglie che hanno subito maggiormente la crisi, e questo è un fatto positivo. Così come è stato prorogato il pagamento della seconda rata a luglio. Però, da settembre, le regole sono tornate le stesse del periodo precedente al lockdown. E chi aveva pagato la seconda rata a fine luglio si è trovato la scadenza sulla prima rata dell’anno successivo dopo trenta giorni: non tutti possono permettersi di sborsare così tanti soldi nel giro di un mese”.

Qual è stata la reazione dell’università alla seconda ondata?

“C’è stata una resistenza molto forte a chiudere nuovamente, nonostante i casi positivi all’interno dell’ateneo stessero aumentando. Credo che ci fosse una tendenza generale a volere dimostrare che si potesse andare avanti in presenza, nonostante a Milano i casi giornalieri fossero migliaia, in nome dell’importanza dell’università vissuta in presenza. Sono d’accordo che la vita accademica abbia un margine molto positivo sulle nostre vite: ho trascorso gli ultimi due anni a frequentare più gli eventi e le associazioni universitarie che le lezioni stesse, e sono convinto di aver imparato molto. Però bisogna anche considerare che siamo in mezzo a una pandemia, e non sapremo che risvolti avrà. Insomma, in questo momento, secondo me, le priorità sono diverse”.

Come studenti, cosa chiedete al governo?

“Chiediamo più attenzione al tema dell’istruzione universitaria, dato che in questi mesi sono state date indicazioni più precise alle discoteche che agli atenei”.

Tornerà a Milano?

“Non ho mai pensato di ritornare, anche se mi è dispiaciuto terribilmente lasciare la città. Ma finché non torneremo quasi alla normalità non credo mi trasferirò”.

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