Milano, capitale universitaria: ma che fine hanno fatto gli studenti?

Atenei chiusi, ingressi sbarrati, il silenzio per le strade. Milano, capitale degli studi universitari con i suoi 197.127 iscritti (dati del ministero dell’Università), da quando è scoppiata l’emergenza del coronavirus, è orfana di quella meglio gioventù che da tutta Italia e da varie parti del mondo migra nel capoluogo lombardo per studiare e per sognare in grande.

Le università a Milano hanno cambiato la fisionomia di interi quartieri. Attraggono capitali, importano giovani dall’estero e mettono i semi di nuove startup. Da diversi mesi però la grande fuga degli studenti universitari ha lasciato, a chi è rimasto, l’immagine di una città irriconoscibile.

Non solo Milano, ma anche Pavia e Bergamo. L’intera Lombardia, che conta quasi 300mila iscritti ed è la regione italiana con più studenti universitari, ha vissuto una trasformazione senza precedenti. Il coronavirus ha svuotato le città spingendo molti ragazzi a un ritorno forzato in famiglia: tra tasse, abbonamenti ai trasporti e costo della vita, per molti di loro non c’è stata altra scelta. Fin da subito, gli atenei hanno spostato le lezioni online: per i fuorisede, a quel punto, non c’era più un motivo per restare e pagare l’affitto in una metropoli che da marzo vive, a fasi alterne, tra lockdown e coprifuoco.

Tutto questo non solo ha trasformato la fisionomia di Milano, ma lascerà un segno anche nella vita di ciascuno studente. Se non è un addio, poco ci manca. Da quasi un anno, questi ragazzi non vivono più, o non hanno ancora vissuto, la città con tutto quello che contiene: lo studio, certo, ma anche quel variopinto mondo che gira intorno all’ateneo e con cui si mettono i primi mattoni della vita adulta. Dagli incontri alle feste, e poi l’attivismo, la politica, la partecipazione. Tutti momenti narrati anche in svariati romanzi di formazione e che segnano il percorso di crescita di ogni giovane. Rinunciare a questo, per loro, è un sacrificio necessario, ma non certo indolore.

E non è indolore neanche per le città, come Milano e Pavia, i maggiori centri universitari lombardi. Bar e copisterie, come altre attività, temono un contraccolpo economico devastante dal blocco delle lezioni e degli esami in presenza.

Abbiamo cercato di entrare dentro la vita degli studenti per capire come stanno vivendo questi lunghi mesi con lezioni ed esami da casa, lontano dalla città universitaria che avevano scelto e dalla vita sociale che le gira intorno. Sono le storie di Matteo Boveri, 23 anni, studente di Ingegneria gestionale al Politecnico, e di Fabio Riccardo Colombo, 25 anni, laureando in Scienze politiche alla Statale. A loro abbiamo anche chiesto come gli atenei hanno affrontato questa emergenza. E, alla fine, anche un verdetto: promossi o bocciati?

Infine, Fedra Pavesi, guida turistica, ci accompagnerà in un tour dentro Città Studi, lo storico quartiere universitario di Milano, che prende il nome dalla zona occupata dagli edifici del Politecnico e dell’Università Statale. Un quartiere simbolo del confinamento, un’enclave della città, nata con l’idea di creare uno spazio delimitato da recinti ingegneristici, perimetri e confini dove collocare le facoltà scientifiche dell’università e quel mondo studentesco che presto, però, si è appropriato della zona. E che l’ha trasformata in un polo d’attrazione e contaminazione con la città che lo circonda.

Speciale “Milano, le università ai tempi del coronavirus”

Indice:

  1. Città Studi, da Pirelli a Natta: il quartiere degli studenti che ha aperto i confini
  2. Matteo, studente del Politecnico in fuga da Milano: “Il governo pensa più alle discoteche che alle università”
  3. Fabio, la Statale e il coronavirus: “Spiego l’evoluzione dei contagi in Lombardia su Instagram. Ora è la mia tesi di laurea”

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