Il secondo anno scolastico segnato dalla Dad, la ormai nota didattica a distanza, sta finendo non senza lasciare segni in una generazione di studenti, adolescenti soprattutto, che sperano di chiudere al più presto questo capitolo e tornare a settembre sui banchi. L’assenza di socialità, in questi lunghi mesi di pandemia, ha generato un drammatico aumento di disagi psicologici e disturbi psichiatrici. Tanto che psicologi e neuropsichiatri in diverse occasioni hanno lanciato l’allarme. E adesso, cosa si può fare? Quali saranno le conseguenze?
Tante le domande che ci siamo poste, anche guardando le iniziative di altri Paesi alle prese con le stesse difficoltà. Ne abbiamo parlato con Ilaria Albano, la psicologa che durante il primo lockdown ha lanciato #carapsicologachallange e che ci ha accompagnato durante le varie fasi della pandemia per provare a dare una risposta alle difficoltà che emergevano di volta in volta.
Parliamo di salute mentale di bambini e adolescenti. Come stanno?
“La pandemia e le misure per il suo contenimento hanno avuto ripercussioni psicologiche su tutta la popolazione, soprattutto sui più piccoli. I bambini e gli adolescenti sono stati inglobati in un clima di paura e di incertezza per il futuro, ritrovandosi di fronte a cambiamenti repentini che hanno interessato i ritmi delle loro vite familiari e scolastiche: improvvisamente hanno dovuto riadattare le routine fondamentali per la loro età e sono stati costretti a rinunciare alle attività educative e ludiche all’aperto. Nei bambini in età fino a 12 anni è stato registrato un aumento di ansia e disturbi del sonno, mentre per gli adolescenti, oltre a questo, sono stati riscontrati maggior isolamento sociale e sintomi depressivi”.
Gli esperti hanno lanciato l’allarme: i reparti di psichiatria infantile sono pieni. Cosa sta succedendo?
“L’Oms parla di almeno il 10 per cento di bambini e del 20 per cento di adolescenti a rischio. Come era purtroppo prevedibile, sono aumentati i casi di disagio psicologico, ossia quella condizione di sofferenza, caratterizzata da tensione, frustrazione, aggressività o tristezza connessa a difficoltà di varia natura. Una quota di disagio è parte integrante di ogni esistenza e, in questa situazione di forte stress collettivo, anche i disagi più lievi meritano attenzione e sostegno professionali. Oltre a questo, con la seconda ondata, è stato registrato un aumento dei ricoveri in psichiatria per atti di autolesionismo, tentato suicidio e disturbi del comportamento alimentare. Il dato che preoccupa molto è la diminuzione dell’età di comparsa, dai 15 ai 13 anni. I disturbi mentali sono delle alterazioni che colpiscono le funzioni cognitive, la sfera affettiva, il comportamento, le relazioni interpersonali dell’individuo; in questi casi, è necessario garantire degli interventi adeguati e repentini”.
Dove ha origine tutta questa sofferenza?
“La pandemia ha reso ancora più marcate le differenze sociali, economiche e, anche, psicologiche. Non esiste solo la vulnerabilità fisica, ma ci sono persone e ragazzi che possono essere particolarmente vulnerabili sotto il profilo psicologico, a cui è importante dedicare particolare attenzione. In età evolutiva, infatti, non tutti posseggono già le risorse mentali sufficienti per gestire le perdite e le limitazioni che hanno caratterizzato questo ultimo anno, perciò è necessario non abbandonare chi è più fragile e rendere il sostegno psicologico più accessibile per tutte le fasce d’età”.
Quali saranno le ripercussioni nei prossimi anni?
“È difficile prevedere le effettive conseguenze sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti in futuro. Ma sappiamo che alti livelli di stress e isolamento possono influenzare lo sviluppo psico-fisico anche a lungo termine, e ciò risulta maggiormente difficile da gestire in chi si trova in condizioni di povertà economica, sociale, educativa. Il benessere psicologico di bambini e adolescenti è un aspetto necessariamente collegato all’erogazione di sostegni per le famiglie, in modo che tutti i genitori vengano messi nelle condizioni di dedicare tempo e ascolto per i propri figli”.
Quali azioni si possono mettere in campo?
“Occorrerebbe potenziare i servizi a sostegno del cittadino, promuovendo un’attenzione specifica verso il benessere psicologico. La definizione e l’attuazione degli interventi deve presupporre la collaborazione tra le istituzioni sanitarie, sociali e gli agenti educativi, coinvolgendo in modo partecipativo le famiglie e gli stessi minori. Sarebbe utile instaurare reti a supporto di tutta la popolazione in età evolutiva (e non solo) e pianificare interventi mirati per le persone a maggior rischio e in condizioni di fragilità. È importante ascoltare i più giovani, non lasciarli soli, dar loro uno spazio per esprimersi e fare domande, fornendo un ambiente relazionale sicuro e stabile per ridurre le conseguenze dello stress”.
Siamo ancora in tempo per “salvare” i ragazzi?
“Cambiare è possibile, possiamo farlo come esseri umani a qualsiasi età. E possiamo anche cambiare le cose intorno a noi. Siamo ancora in tempo per dare supporto a chi è in difficoltà e, per questo, non bisogna perderne altro. Recenti studi dimostrano che quanto più precoce è l’intervento, tanto più sarà efficace nel mitigare e ridurre le conseguenze che un’esperienza avversa può avere sulla salute fisica e mentale di bambini e adolescenti”.
In Francia, il governo regala dieci sedute gratis per i giovani, dai 3 ai 17 anni, che soffrono di depressione e stress. Cosa ne pensa?
“È un’iniziativa molto utile per guidare e non lasciare solo chi non sarebbe in grado di chiedere aiuto autonomamente. Il cambiamento delle dinamiche familiari e scolastiche, la paura dei contagi, l’isolamento sociale hanno fatto sì che aumentasse la fragilità di bambini e ragazzi, soprattutto di quelli che si trovavano già in una situazione di disagio psicologico, anche prima della pandemia. Gli adolescenti sono stati, probabilmente, la fascia d’età più colpita dalle restrizioni, perciò penso che misure come queste potranno essere d’aiuto per sostenere e prevenire l’aggravarsi delle situazioni di disagio”.
Questa iniziativa aiuterà i giovani a prendere confidenza con gli psicologi e a interrogarsi di più sul proprio benessere mentale?
“Penso proprio di sì. Dalla mia esperienza, ho la percezione che le nuove generazioni siano più sensibili al tema del benessere psicologico e si approccino con maggiore apertura alla figura dello psicologo. Come spesso accade, sono gli adulti ad avere e trasmettere più limiti (o timori?) riguardo la salute mentale e la professione dello psicologo, ancora pregna di pregiudizi e false credenze. Un’iniziativa del genere potrebbe permettere a molti genitori di conoscere da vicino un lavoro di cui spesso si ha un’immagine sbagliata, andando oltre la narrazione stereotipata dello psicologo, spesso scimmiottato in film o programmi televisivi, e rivalutando l’importanza del benessere psicofisico per se stessi e per i propri figli”.
E in Italia?
“In Italia sono stati stanziati diversi fondi per attivare e potenziare gli sportelli d’ascolto psicologico nelle scuole, ma a quanto pare non è bastato: dopo un anno di pandemia ci sono ancora enormi ricadute sulla dimensione psicologica della popolazione, in tutte le fasce di età. Sarebbe opportuno creare delle reti di sostegno attivo facilmente accessibili per tutti e mantenere alta l’attenzione anche nei prossimi anni, per le possibili ripercussioni a lungo termine”.
Le scuole superiori sono state sempre le prime a essere sacrificate: tutto questo che effetto ha avuto?
“Ci sono molte situazioni potenzialmente rischiose per il contenimento della pandemia, non solo nelle scuole superiori, ma anche in quelle primarie e secondarie: dalla gestione delle mense scolastiche al dover proibire i contatti fisici tra bambini piccoli o all’insegnare loro come portare la mascherina per otto ore in maniera corretta. La didattica a distanza è stato uno strumento compensativo probabilmente utile in una situazione di emergenza perché ha dato continuità all’apprendimento e al mantenimento di un, seppur minimo, contatto relazionale tra studenti e professori, quando non sarebbe stato possibile altrimenti. Ma, ovviamente, non può essere un mezzo sostitutivo della didattica in presenza. I bambini e gli adolescenti hanno bisogno di socialità e relazione. E su questo la didattica a distanza ha dei limiti ben noti: impoverisce le relazioni sociali, che sono parte integrante dell’educazione, e accentua le disuguaglianze, acuendo le differenze socio-economiche tra famiglie, penalizzando chi ha difficoltà ad accedere a connessioni e dispositivi tecnologici o a un adeguato sostegno durante le video-lezioni. La scuola in presenza è ciò che meglio garantisce il diritto allo studio, all’educazione, alla socialità e all’uguaglianza. Quest’anno abbiamo avuto la conferma di quanto sia importante la salute mentale e di quanto siano importante le relazioni per il benessere psicologico di ciascuno, a qualsiasi età”.