Lettere a Litchfield – “Calvairate è l’immagine del capolinea innevato nella foschia silente del mattino di gennaio”

Vi proponiamo uno scritto molto suggestivo sul quartiere Calvairate, periferia sud-est di Milano, che ci ha mandato Azzurra Frattegiani, rispondendo alla nostra call. Azzurra, che ha vissuto un paio d’anni a Calvairate, ci racconta un breve spaccato della sua esperienza in una forma simile al flusso di coscienza.

La tartaruga al piano terra e il riccio dell’Ortomercato. Calvairate ha avuto per me il sapore di giorni a tratti faticosi e a tratti spensierati. Porta con sé il ricordo del tragitto fra Via Maspero e la fermata del 16, su cui salivo per andare al lavoro in Porta Romana, o quello fra Viale Molise e la stessa fermata: stivali marroni scivolosi e ombrello alla mano sotto la pioggia battente o sandali impolverati che fendono la calura del marciapiede ed evitano le piccole lordure del suolo metropolitano.

Calvairate è l’immagine del capolinea tranviario innevato nella foschia silente del mattino di gennaio o le figurine in movimento tra i lampioni occhiuti affacciati sul campo di calcio che fronteggia l’Ortomercato all’ora dell’aperitivo: abitare da sola, che terrore e poi che liberazione, nella mente spazio ampio e tranquillo, confessavo al pesce rosso in salotto, lui che dall’acquario guardava me che dalla finestra contemplavo le incomprensibili geometrie calcistiche. E nello spazio di un anno ne sono entrati e usciti di personaggi: volta la carta, in fondo. Un collega, e amico, nomade urbano bici in spalla, come non dargli ospitalità, un letto per dormire e ripararsi, un baccalà fritto per rifocillarsi e un giro intirizzito al mercato di Piazzale Cuoco, miriade oggettistica, dita e naso congelati; un ex ragazzo, aspettalo, fatti riaccompagnare, guarda c’è un riccio, filo da tagliare sì certo, forse, è un’uscita fra amici, no? Ma che sto facendo? D’altronde se va bene a lui io sto tranquilla; famiglia in transito Milano-Parigi-Milano-Parigi, che fortuna, che esperienza, Marco, dai, giochiamo ai pirati chi fa il capitano? Tu ok, allora io il sottocapitano.

Ma Ugo che fa vita notturna l’hai sentito scendere le scale? No, veramente io no, non ho sentito niente, ho dormito bene. Comunque chiusa qui con la sola compagnia di Morfeo ho paura, intanto mi chiudo in camera, così dormo meglio; Fabio…ah perché le vongole andavano filtrate? Oddio c’è la sabbia, dai non è poi tanta quasi non si sentirà…ballare in cucina? Ma ti pare?! Mazurke vino bianco a sera e notte inoltrata. E poi la prima pizza fatta in casa, più un boomerang o un oggetto contundente che materiale commestibile. Ma mi sono riscattata con una cena di manicaretti preparati apposta per i colleghi più cari, presto fatto presto detto, vegliati dal disegno del calamaro di Marco, Lucia Calamaro! Che donna Lucia Calamaro, niente storia d’amore solo la celluloide del cineforum con la mia migliore amica, “Dieci inverni”, Venezia, mica un caso la città di Casanova mentre Milano “sapessi com’è strano innamorarsi a Milano”, e infatti… 

La signora con i capelli bianchi stampata a piano terra dietro il vetro della casa popolare, viva o figurina di carta bidimensionale invecchiata lì senza che nessuno la staccasse dalla superficie, un’esistenza murata, ma poi anche il presidio di lotta. Ah buongiorno anche lei qui? Sì, si cerca di far qualcosa. Ah sì, vedi, loro sono i miei nuovi vicini: lui credo sia un’ex insegnante, lei un’assistente sociale. Bel palazzo questo, finalmente in stile vecchia Milano e poi questo divano a forma di bocca rossa in cucina è meraviglioso e subito davanti c’è Macao. Sì, gli edifici dell’ex mattatoio sono splendidi, speriamo che non facciano rumore, che riesca a dormire. Oh in un anno solo una notte di musica a tutto volume e un ragazzo sull’albero, chissà perché va a finire che incappo sempre in partner con il ghiribizzo del Barone Rampante. Fire walks with me, installazioni sonore e acquatiche. Che serata, mi son proprio divertita. Abbiamo ballato. No non era Forrò, qualcosa di simile le serate più innovative e sperimentali comunque le fanno loro, vieni a Liber liber, quest’anno lo ospitano lì.

Un gran bel temporale: tuoni fulmini e saette, il braccio brillante di Giove sul Palazzo del Ghiaccio. Che sensazione di potere, che maestosità da una così grande finestra a contemplare lo spettacolo del cielo arrabbiato e torrenziale, le chiome scosse lungo il viale. Il vento resta in assoluto il mio elemento preferito.

I laboratori degli attori ad altezza di sguardo dall’altra parte della strada, che fortuna stare ad un piano così alto fronte albero fronte tetto. Ah qui era prevista una linea della metropolitana? E anche una biblioteca ambiziosa, ma poi più niente e chissà quando. È da anni che si parla di una riqualificazione dell’area Ortomercato. Comunque quasi meglio questa architettura quasi coloniale, soffitto di vetri colorati e ballatoio. Sì, io la adoro, almeno non è troppo pettinata.  Ah perché anche questa è una social street? Eh sì.

No, il passante non l’ho mai preso, in compenso ho preso la 92 per traslocare da Corvetto a qui: ero carica di bagagli, ha cominciato a piovere a dirotto e la 92 si è bloccata. Proprio stasera doveva andare così. Perché non hai ancora provato la 90, un’avventura esistenziale più che un mezzo ATM. O meglio un campionario umano con il perimetro della circonvallazione.

Ma queste torri nel parco giochi che sarebbero? Secondo te hanno pensato agli indiani quando le hanno costruite? Non lo so, no io di solito al massimo vado a leggere su qualche panchina in fondo al parco, zanzare permettendo. Ho scoperto che mi piace proprio andare al mercato. Sì, quello del mercoledì mattina. Azzurra monopolizza il frigo, eh tu non mangi mai frutta e verdura allora io ne approfitto lo riempio. Ma dov’è questa biblioteca? Ah sì ho capito, certo che c’è proprio tutto qua. Torniamo in quel bar che era anche fioraio? Sì giusto, shabby chic. Sì sì quello. C’è anche “Il Libraccio” lungo il tragitto del 12. Via Arconati, mi pare. Sì prendo questo che finisce in quell’ingorgo fatidico di rotaie, almeno non incontro la signora che parla da sola alla fermata. È chiaro che vorrebbe attaccare discorso, inveisce tutto il tempo contro i vicini non abbastanza poveri per meritarsi l’alloggio popolare, ma la mattina evito volentieri. Ha l’occhio sgranato dalla rabbia, al massimo annuisco.

Qui proprio qui, ai limiti della città, un ristorante di lusso? Wow. Ribadisco, ho sempre avuto un debole per le zone dove la città finisce. Sarà un destino, ho cominciato da Corvetto e ho finito con l’Ortomercato. Ma il cortile è tutto loro? Sì, si sono ritagliati un piccolo paradiso al riparo dal caos meccanico, giocano a carte. Tenera è la vecchiaia. Saranno vere le tartarughe? Sì, si muovono, e sono tante, piccole sfingi ai quattro angoli del mondo“.

Continuate a mandarci aneddoti o ricordi che vi legano al quartiere Calvairate a orangeisthenwmilano@gmail.com o sulle nostre pagine social.

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