Su questi campi con affaccio su case popolari e cemento sono nate anche delle stelle. Dall’ex centrocampista Osvaldo Bagnoli, che portò l’Hellas Verona allo storico scudetto fino, in tempi più recenti, a Federico Dimarco, il terzino sinistro che, a 17 anni, ha esordito in Europa League. Ma qui è cresciuto soprattutto Giuseppe Meazza, prima di diventare una delle bandiere dell’Inter e dare il nome allo stadio quasi centenario che oggi Milano, o una sua parte, vuole abbattere.
Da un mese sui campi dell’Asd Calvairate è calato il silenzio. L’ultimo dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte sospende le scuole e l’attività sportiva dilettantistica di base, cioè lo sport dei ragazzini. Neanche le partitelle al parco sono consentite.
I campi di via Vismara, periferia sud est di Milano, si sono così svuotati. Dei 350 atleti tesserati, in queste bizzarre giornate di nebbia e sole, sono rimaste solo le foto appese alle pareti con i colori rosso e blu delle divise e i trofei vinti.
Uno stop, quello che ha colpito una delle società dilettantistiche più importanti di Milano, che arriva dopo oltre settant’anni di storia. Era il 1946 quando alcuni commercianti di pollame, forse per festeggiare la fine della guerra, decisero di trasformare uno dei numerosi prati che circondavano le case del quartiere in un campo da calcio. Da allora la società è diventata un punto di riferimento per i giovani di quello che allora era un piccolo paese, ma che ben presto diventa una delle zone più popolate e multietniche di Milano: Calvairate.
Venti squadre e un sodalizio con il Genoa, con cui condivide i colori dello stemma. La prima, da sei anni, è in Eccellenza. La Juniores, due volte campione regionale, è ai vertici della scena lombarda per risultati e per crescita di talenti, tanto da conquistarsi il premio “giovani” di Figc e Lega nazionale dilettanti.
Ora è tutto fermo. “L’umore in questo momento è a terra”, confessa Danilo Ferrami, 60 anni, presidente dell’Asd Calvairate dal 1994. Una passione, quella per lo sport, nata da ragazzo quando agli studi di Agraria ha preferito quelli di Scienze motorie. Prima maestro di tennis, “nel 1976 quando in Italia ci fu il boom” con le gesta di Adriano Panatta, e poi la gestione di un centro sportivo e l’approdo al calcio: “Un mondo completamente diverso rispetto al tennis, ma è la passione per questi ragazzi che mi ha spinto a cogliere l’occasione di farne un’attività imprenditoriale e di andare avanti”.
Non usa giri di parole per descrivere la sfida più difficile di sempre: “Questo è l’inizio di un periodo devastante per le associazioni sportive”. Nella sua voce c’è preoccupazione, ma anche un pizzico di amarezza nel vedere come le istituzioni “siano arrivate sempre tardi” nella gestione di questa pandemia.
Vedere i cancelli chiusi, è sconfortante per l’intero staff che ha costruito, in tutti questi anni, non solo una scuola calcio, ma una piccola scuola di vita. “Vogliamo essere un riferimento educativo per i ragazzi. Vediamo che lo sport ha ancora un buon appeal su di loro: facciamo leva su questo. La convocazione, la valutazione e la disponibilità dell’allenatore nei loro confronti dipendono dal rendimento. Ci sono tanti ragazzi che si equivalgono, ma chi si impegna di più viene premiato. Nella società di oggi ormai non è più così, ma per me resta uno degli insegnamenti più importanti dello sport”.
Da un mese però è tutto fermo. “Avevamo centinaia di ragazzi che si allenavano tre, quattro volte a settimana. Ora stanno chiusi in casa, magari incollati ai social per ore. Non penso che tutto questo sia positivo per la loro crescita”. Il problema, osserva, non è tanto il lockdown – “una soluzione inevitabile” – ma la risposta delle istituzioni, “che è sempre troppo lenta”. È convinto che questo stop andasse fatto, “ma con due settimane d’anticipo. E, invece, abbiamo perso tempo cercando di scongiurare qualcosa che era inevitabile, senza riuscirci”.
La preoccupazione per chi dirige associazioni sportive come questa è tangibile e soluzioni al momento non ce ne sono. “Non abbiamo introiti e la possibilità di riprendere l’attività, in questi mesi, è stata a singhiozzo. Dal punto di vista economico, non è facile. Ci sono i costi fissi per mantenere l’impianto, le spese per il personale (70 collaboratori e tre dipendenti): tutto questo in un momento in cui le nostre entrate sono pari a zero”.
Ma dalle parti di Calvairate il motto è uno solo: “Rimettersi in gioco”. Istruttori e preparatori atletici sono già al lavoro per portare il calcio nelle case dei loro ragazzi con “A lezione da”, una serie di video tutorial con allenamenti tecnici e fisici da fare in casa o nel parco in prossimità della propria abitazione. Un modo come un altro per tornare a sognare. Come cantava De Gregori, per mettere il cuore dentro alle scarpe e correre più veloce del vento.