Giorno 2 – Mentre qualcuno gioisce per lo smart working, a me il coronavirus ha tolto molto più di un lavoro

La sveglia non suona. Nessuna delle due si è ricordata di puntarla. Mia moglie e io facciamo lo stesso lavoro: siamo giornaliste. Da qualche settimana però il telefono non squilla più, l’agenda è vuota. E allora che importa se questa mattina non scattiamo giù dal letto in tempi record?

Importa perché è uno dei pochi suoni che sentiremo durante la giornata. Da quando il silenzio ha invaso le nostre vite, tutto è cambiato.

Elisabetta Invernizzi – Foto © Claudia Zanella

Si dice che un buon giornalista debba fare due cose: consumare le suole e non guardare l’orologio. Ci penso spesso in questi giorni in cui non metto neanche le scarpe e, se non guardassi le lancette, non saprei se è l’ora del tè o di una birra.

Ora, che i giorni sono tutti uguali, mi ritrovo con una sola storia da scrivere: la mia. Che è un po’ anche quella di mia moglie, di alcuni amici, di amici di amici, di sconosciuti che fanno il nostro stesso lavoro.

Sono una giornalista freelance. Nessun contratto. Significa che se non trovo qualcosa da scrivere nessuno mi paga. Il privilegio di chi, come me, “è fuori” è uno solo: la libertà. La libertà di muovermi, di uscire, di perdere tempo. La libertà di parlare con la gente, di intromettermi nella vita degli altri e di ascoltare storie là dove nessuno le va a cercare.

Ecco perché in queste settimane mi hanno tolto molto più che un lavoro. Mi hanno tolto l’unico motivo per cui punto la sveglia al mattino.

Intanto i colleghi assunti gioiscono per l’ebbrezza dello smart working e mi mandano le foto delle torte che hanno preparato durante l’esilio. Stanno vivendo, forse per la prima volta, l’esperienza di lavorare da casa.

Ma qualcuno già rimpiange l’ufficio. Un luogo reale e tangibile che per loro significa “lavoro” e che per noi freelance semplicemente non esiste. Benvenuti nel club: ecco come ci si sente quando non c’è più un confine tra la vita privata, il divertimento, il relax e il lavoro. Non esci mai dall’ufficio per tornare a casa. La stanza dove scrivi è anche quella dove cucini, guardi la tv e la sera, magari, inviti gli amici a cena.

Chiusa in casa, in questi giorni, penso a tutto quello che mi fa stare male di questo lavoro. Come, per esempio, l’attesa per un “sì” o per un “no”; l’ansia perché è mercoledì e non ho ancora scritto una riga. E quando è venerdì, e tutti fanno festa, mi assale l’angoscia perché anche questa settimana non ho pubblicato abbastanza articoli per garantirmi un vero stipendio.

Ma poi, lunedì, mi rialzo e trovo la forza per ricominciare. È un nuovo giorno, una nuova settimana e mi sveglio con l’ottimismo in tasca, quello della Milano che non si ferma mai.

Intanto, incurante del coronavirus, LinkedIn mi riempie l’email con nuove offerte di lavoro. Invio il mio cv, ma poi mi chiedo: “Ora che tutto è fermo, c’è davvero qualcuno che sta pensando di assumere?”.

E mentre io cerco lavoro, una signora dalla finestra mi strappa un sorriso. “Ha visto? Questo coronavirus colpisce soprattutto gli anziani: è tutto un complotto dell’Inps per non darci la pensione”. L’unica azienda che in questo momento lavora a pieno ritmo, senza subire danni, sembra essere la fabbrica delle fake news.

Questo articolo è stato pubblicato su Huffington Post

2 pensieri riguardo “Giorno 2 – Mentre qualcuno gioisce per lo smart working, a me il coronavirus ha tolto molto più di un lavoro

    1. Ciao! Benvenuto su questo blog! Ora che ci fai pensare, anche sulla nostra tastiera iniziano a cancellarsi un po’ di lettere… l’evoluzione dei tempi moderni.

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