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“Io, medico, multato mentre andavo in ospedale a Pasqua. La mascherina si era rotta. Mi sento umiliato”

“A Pasqua non ero in turno, ma ho scelto di andare lo stesso in ospedale perché sono un medico e so che in questo momento c’è bisogno di noi. Mentre aspettavo il treno mi si è rotta la mascherina. E sono stato multato”.

P.T. è un giovane medico dell’ospedale di Circolo di Varese e ha appena ricevuto una multa da 400 euro. Presta servizio nell’unità di Neurologia. Stroke unit, specializzata nel trattamento dell’ictus in fase acuta. Da quando è scoppiata l’emergenza del coronavirus, il suo reparto è uno dei diciotto hub individuati dalla Regione per gestire le urgenze neurologiche in Lombardia e sgravare così gli altri ospedali impegnati nella gestione dei positivi al Covid-19. “I pazienti sono aumentati e non c’è abbastanza personale sanitario a disposizione”. Per questo, il medico – che ha chiesto di restare anonimo perché fin dall’inizio dell’emergenza le aziende ospedaliere, su direttiva dell’assessorato regionale alla Sanità hanno imposto ai dipendenti di non parlare con i giornalisti – quel giorno, anche se di riposo, non ha avuto dubbi.

Come ogni mattina si è diretto nella stazione della sua cittadina in provincia di Milano ed è salito sul treno delle 7.38 diretto a Varese. Ma poco prima che il treno arrivasse, la mascherina che indossava si è rotta. “I fili che la tenevano legata alla bocca si sono staccati e così l’ho buttata, dato che ormai non copriva più in alcun modo il mio volto”, racconta il medico, che a quel punto decide di prendere lo stesso il treno per raggiungere l’ospedale coprendosi con il colletto della giacca. “Se fossi tornato a casa a prendere una sciarpa avrei perso il treno e sarei arrivato tardi al lavoro. Secondo la mia esperienza clinica, ho ritenuto più sicuro coprirmi con il bavero della giacca invernale, che mi arriva fino agli occhi e che tutt’ora indosso, nonostante il caldo, perché offre una copertura analoga, se non migliore, a quella delle mascherine chirurgiche”.

P.T. è un medico dell’ospedale di Circolo di Varese

Una volta arrivato alla stazione di Varese, però, il medico incontra una pattuglia della polizia ferroviaria che lo ferma e gli fa una multa da 400 euro. Il motivo? “Mi hanno detto che non potevano fare altrimenti dato che non indossavo la mascherina né la sciarpa”. A nulla è servito esibire il tesserino dell’ordine dei medici e spiegare loro la situazione.

“La fattura di queste mascherine chirurgiche è piuttosto scadente”, osserva il medico, che spiega anche che il personale sanitario ha diritto ad averne una sola al giorno. “La teniamo fino al giorno successivo quando torniamo in ospedale per il turno. A quel punto, prima di entrare in reparto, la cambiamo, lasciando la firma su un registro”.

“Il giorno precedente in ospedale si erano presentati tre pazienti con ictus e avevo fatto l’ennesimo turno di dodici ore”, ricorda. “Non ho avuto il tempo di andare in farmacia a comprare una nuova mascherina”. E come operatori sanitari, “ogni giorno siamo sottoposti a diversi controlli prima di entrare in ospedale: in quel momento non stavo mettendo a repentaglio la salute di nessuno”.

Il medico, che ha già annunciato di volere fare ricorso, si dice amareggiato. “Ritengo di essermi comportato in modo esemplare mantenendo sempre una distanza di almeno due metri dalle persone e di non essere venuto meno alle direttive”. L’ordinanza della Regione Lombardia, a cui si fa riferimento, stabilisce che “ogni qualvolta ci si rechi fuori dall’abitazione, vanno adottate tutte e misure precauzionali a proteggere se stesso e gli altri dal contagio, utilizzando la mascherina o qualunque altro indumento a copertura di naso e bocca”. La normativa, dunque, “non impone di indossare per forza una sciarpa”, precisa il dottor P.T.

“Mi sento umiliato”, si sfoga il medico, che in questa situazione di emergenza ha scelto di svolgere fino a quaranta ore in più al mese in ospedale e di lavorare anche nei festivi. “Voglio aiutare, mi metto al servizio delle persone. Ma per questo non ricevo alcun compenso, i miei straordinari non vengono pagati come avviene invece nel resto d’Europa”. Una missione, per la quale non chiede alcune riconoscimento. “Nessuno mi ha chiesto di ammazzarmi di lavoro fino a farmi venire l’emicrania tutte le sere, ma non vorrei essere ostacolato nella mia attività. Sono amareggiato. Mi sento preso in giro a venire multato il giorno di Pasqua mentre sto andando in ospedale a svolgere l’ennesimo turno di dodici ore, mettendo a rischio la mia salute per gli altri, nonostante mi sia coperto il volto e abbia agito secondo coscienza ed esperienza”.

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