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Lettere a Litchfield – “Insegno Antropologia Forense. Con la Dad voglio che i miei studenti non solo capiscano gli argomenti, ma si divertano”

“Mi chiamo Pasquale Poppa, come mio nonno, che a differenza mia era Cavaliere del lavoro della Repubblica Italiana. Ho 47 anni e da una ventina lavoro all’Università degli Studi di Milano. Sono uno dei tecnici di Laboratorio del Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense della Statale“. In questa lettera, Poppa ci racconta com’è cambiato il suo lavoro con lo scoppio della pandemia, ma anche le nuove frontiere esplorate, a forza, con la didattica a distanza.

Tecnico specializzato nell’analisi delle macchie di sangue sulla scena del crimine, dopo un dottorato in Statale e un percorso di formazione in Olanda, da diversi anni lavora nella ricerca, lo scavo e il recupero dei resti umani. E insegna al corso di Antropologia del Cusmibio, il Centro per la diffusione delle Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano. “Prima della pandemia gli studenti, oltre alle lezioni teoriche, svolgevano anche esercitazioni su scheletri di natura archeologica. Quando le lezioni in presenza sono state sospese, l’attività si è spostata online ed è cambiata”. E così anche la vita familiare di Poppa, come ci racconta in questa lettera.

Pasquale Poppa

In questa lettera Pasquale Poppa ricorda quello che ha provato al rientro in laboratorio davanti agli studenti del Cusmibio:

“Beh più che emozione direi ansia. Non facevo lezione in presenza dal 28 febbraio 2020. Me lo ricordo perché è il giorno in cui mio figlio è rimasto a casa dalla scuola materna: da lì è partito tutto quello che poi ci ricordiamo. Devo dire che è stata un’esperienza assolutamente fuori da ogni possibilità di classificazione.

Ricordo che io e mia moglie ci siamo divisi la giornata a metà. La mattina io al piano di sopra della nostra minuscola casa a due piani, in provincia di Milano, e lei a cercare di distrarre una bimbo iperattivo di cinque anni che vuole fare tutto e il contrario di tutto in meno di quindici secondi. Il pomeriggio, invece, vissuto a parti inverse: io a rallegrare le giornate della prole e lei a lavorare al piano di sopra.

In realtà, buona parte dei pomeriggi passavano nel nostro box, che avevo trasformato nel frattempo in sala giochi/svago con calcetto, spazio per le piste della macchinine, una specie di canestro, palle di ogni forma e dimensioni con annesso angolo caramelle e beveraggi.

Ecco, tornando all’oggetto della questione, durante le mattine della quarantena da marzo a maggio, sempre tramite il coordinamento del Cusmibio, avrò fatto lezione a più di mille ragazzi online che si collegavano con la mia mansarda per sentire parlare di Antropologia. Ora, io capisco che uno durante la pandemia fosse abbastanza disperato, che anche due ore passate con me potevano essere uno svago, ma ho trovato dei ragazzi attenti, che erano entusiasti di quell’attività. C’è voluto un po’ per rodare delle lezioni che solitamente richiedono molta interazione da parte dei ragazzi però, alla fine, siamo partiti. Il viaggio è stato avventuroso e movimentato.

Mi ricordo la prima scuola, in provincia di Lodi, dove ero stato l’anno prima a fare lezione in presenza. Ero stato invitato da una professoressa diventata poi un’amica e questi ragazzi, che erano perfettamente al centro della prima zona rossa, la zona del paziente zero, erano quelli che già avevano subito un piccolo periodo di isolamento, a cui si stava aggiungendo quello nazionale. Ecco, ci tenevo molto a fare una bella lezione, perché se lo meritavano un po’ di ‘svago’ dalle solite attività.

Poi le lezioni si sono succedute nel tempo. Ricordo una scuola della Sardegna che mai avrebbe potuto fare lezione a Milano ed ero molto felice di offrire loro quell’occasione. Poi ricordo i numeri ‘da circo’ per far connettere insieme classi di istituti diversi, di città diverse, di regioni diverse… che fatica a ripensarci adesso!

Ecco, la pandemia ha influito così: sono passato da vedere questi ragazzi di 16, 17 e 18 anni in presenza, con i loro atteggiamenti, le loro dinamiche sociali dentro il loro gruppo, in presenza, a vedere solo le loro facce per pochi minuti all’inizio o alla fine dei miei interventi.

Mi sono mancati eh! Mi sono mancati tanto, per il modo che abbiamo di interagire con i ragazzi, per come cerchiamo di spiegare loro un po’ il nostro lavoro e per come proviamo a spiegare loro come funziona, in generale, l’università, sperando di lasciarli con lo stesso entusiasmo e un po’ più di consapevolezza nell’affrontare il loro percorso.

Il ritorno è stato un percorso al contrario, ma non avevo pensato a come potesse essere una lezione in presenza dopo quasi quindici mesi.

Devo dire che ormai siamo tutti bravissimi a guardarci negli occhi e a capire se la faccia dietro la mascherina sta ridendo o si sta annoiando. Tutti tranne me. Siccome non sono particolarmente portato all’intuizione, le mie lezioni sono piene di collegamenti simpatici, di battute, di momenti in cui non mi serve capire se la bocca dietro la mascherina ride perché lo vedo da come stanno seduti, da come si muovono, se mi seguono nei miei voli pindarici tra realtà e fiction passando per la Seconda guerra mondiale e per le app di riconoscimento facciale dei telefonini. Ecco, diciamo che, alla fine, mi piace pensare che non solo abbiamo capito gli argomenti della lezione di Antropologia, ma che si siano divertiti.

Perché questo forse più del resto mi è mancato: il divertimento con e per questi ragazzi”.

orangeisthenewmilanoteam

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