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Iperattivi, pigri, nervosi. Che cosa ci succede a stare a casa? Ce lo spiega la psicologa Ilaria Albano

In queste settimane tanti hanno già pulito casa 27 volte, hanno svuotato e sistemato i cassetti che non guardavano da anni e potato le piante sul balcone. E poi si sono inventati altri milioni di passatempi. Tanti altri, invece, non riescono ad alzarsi dal divano e passano le giornate davanti alle serie tv, magari sentendosi in colpa e promettendosi di rendere più produttive le proprie giornate “da domani”. Molti di noi sono nervosi. Basta poco per scatenare reazioni furibonde. Questo lockdown ci ha sconvolto la vita. Abbiamo cambiato le nostre abitudini e magari ci tempestiamo di domande. Che cosa ci succede?

Lo abbiamo chiesto a Ilaria Albano, la psicologa che durante questo lockdown ha lanciato la #carapsicologachallange, iniziativa di cui abbiamo parlato recentemente.

Ilaria Albano

Da quando siamo in lockdown c’è chi è diventato iperattivo e chi, invece, non ha voglia di fare niente. Perché?

“Quando ci troviamo ad affrontare una situazione di pericolo, facciamo ricorso a quel ‘bagaglio’ di comportamenti che abbiamo ereditato dai nostri avi e che ci ha permesso di sopravvivere fino a oggi.  Si pensi a quando dovevamo difenderci da predatori o affrontare altri pericoli sconosciuti: da sempre il nostro cervello risponde alla paura mettendo in atto alcuni comportamenti, come le reazioni di ‘attacco o fuga’, o l’ ‘immobilità tonica’, il cosiddetto ‘freezing’, fondamentale per nasconderci e farci guadagnare del tempo”.

In che modo si applicano oggi?

“Queste reazioni rientrano nella nostra naturale risposta alla paura e continuano a esistere anche ai giorni nostri, quando il ‘nemico’ non è più un predatore, ma qualcosa di più complesso. In questa situazione, infatti, oltre al pericolo per l’incolumità fisica, dobbiamo fare i conti anche con altre minacce, più prettamente psicologiche. E sono diverse da persona a persona. E, allora, possiamo decidere di ‘attaccare’ la nostra paura di perdere il controllo, facendo bulimia di informazioni e riempiendo le nostre giornate di mille attività. Oppure fuggiamo dalla realtà, evitando le notizie più dolorose. O, ancora, restiamo immobili nella pigrizia, se il pericolo ci sembra più grande di noi”.

Alcuni si sentono in colpa per non aver voglia di fare niente o per non riuscirci: è normale?

“Va bene essere pigri, così come va bene l’iperattività. Non siamo tutti uguali e, mai come in questo periodo, dobbiamo imparare ad accettare le nostre reazioni e liberarci dai sensi di colpa. Se ci ritroviamo un po’ più pigri del solito, approfittiamone per farci qualche domanda e rivalutare lo stile di vita condotto fino a ora. Forse, un momento di pausa era proprio ciò di cui avevamo bisogno?”.

Perché ora, che siamo chiusi in casa da più di un mese, ci sentiamo più nervosi o arrabbiati?

“Molte persone si ‘nutrono’ di abitudini sociali per affrontare la quotidianità, come andare a prendere il caffè al bar, scambiare due chiacchiere con i colleghi di ufficio. Dovere rinunciare a queste piccole abitudini, per molti, è frustrante: ognuno ha una diversa resistenza al cambiamento e, soprattutto quando imposto, la rabbia e la tristezza ci spingono a essere scontrosi e insofferenti. Non solo. È importante, anche, considerare cosa rappresenta per noi la casa: per alcuni è un luogo sicuro, un’opportunità per trascorrere del tempo con se stessi e per coltivare gli affetti; purtroppo, per molti altri, la casa è, invece, un luogo di solitudine, di frustrazione o di violenza. È bene ricordarsi anche di queste situazioni per comprendere le reazioni più dure”.

Perché tante persone escono nonostante le direttive? Che cosa rende così difficile stare a casa?

“In questa situazione speciale i nostri comportamenti possono essere motivati da due aspetti: l’esperienza diretta e le regole preventive. Inutile dire che l’effetto dell’esperienza diretta è molto più efficace: i cervelli più ‘pigri’ sono attratti solo dalle evidenze più eclatanti, lo sa bene chi elabora le fake news. Se metto una mano sul fuoco mi brucio. Lo faccio subito e l’esperienza ha impatto immediato su di me. Ma se non rispetto una regola come ‘resta a casa’, la conseguenza su di noi non è così immediata e potrebbero mettersi in moto dei ‘bias’, degli errori, nella nostra percezione del pericolo, che ci portano a pensare che ‘non succederà a me’ o che ‘mi basterà uscire ed essere attento’. Se il problema e le sue conseguenze temporali, visti i tempi di incubazione del virus, sono vissuti come lontani, o come qualcosa che colpisce gli altri, sarà più difficile rispettare la regola. Al contrario, se qualcuno vicino a me è stato toccato direttamente da questo virus, sarò sicuramente più motivato a seguirla. Subire questa decisione e non avere le competenze scientifiche per comprenderne tutte le ragioni, può anche portare a mettere in dubbio il lavoro di medici e ricercatori, conseguenza, ahimè, già molto diffusa. Iniziare a diventare consapevoli di questi nostri ‘bias’ non ci farà evitare del tutto di incorrere in altri errori di percezione, ma potrebbe essere un buon inizio per rivalutare alcune nostre convinzioni”.

In che modo la lontananza dagli altri e la vicinanza forzata con chi vive con noi incidono sulla nostra vita e sul nostro umore?

“Lontananza e vicinanza mettono a dura prova il nostro equilibrio sociale. Da un lato, dobbiamo resistere al bisogno di socialità e ‘accontentarci’ degli strumenti tecnologici, come chat, videochat e social network. Dall’altro, dobbiamo scontrarci con la nostra realtà domestica: per molti la vita fuori casa rappresenta una via di fuga e la convivenza forzata ventiquattr’ore su ventiquattro, rompe un equilibrio spesso raggiunto a fatica. Approfittiamone per ritagliarci i nostri spazi anche a casa e iniziamo a riscoprire i nostri ‘coinquilini’. Metterci in loro ascolto, potrebbe portarci a nuove consapevolezze”.

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