Scarpette rosse per dire stop alla violenza sulle donne: le storie del lockdown

Centinaia di scarpe rosse per ricordare le donne vittime di violenza durante questo lockdown. Rosse come il sangue, che ogni giorno le donne versano per mano dei propri mariti, fidanzati, padri, ex compagni. Vittime di una violenza che, durante la quarantena, nei primi mesi della pandemia, hanno subito nel silenzio delle proprie mura domestiche. Donne di cui oggi rimangono solo le scarpe. E con queste, a Milano, è stata costruita un’istallazione. O meglio, un percorso che attraversa diversi quartieri.

“Scarpette rosse” è un progetto che ha l’obiettivo di tenere viva l’attenzione sulla violenza di genere e sugli abusi, che spesso sfociano in omicidi. E, allo stesso tempo, ricordare che un modo per combattere questo triste fenomeno c’è: comunicare, fare rete, creare spazi di ascolto.

Accanto alle scarpe, in questo inedito percorso, ci sono 64 cartelli, che raccontano cos’è successo a queste donne. Sono di due tipi. Ci sono quelli bordati di rosso, che raccontano storie di violenza domestica e abusi finiti in tragedia. E poi ci sono i cartelli verdi, che parlano di storie finite bene, di donne che, a un certo punto, sono riuscite a dire “basta” e scappare da una fine che sembrava scritta.

Il percorso – inaugurato in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne – va dall’Ortica a Cimiano, passando per Lambrate. Una via crucis laica con sette stazioni, dove sono appese le scarpette rosse. Ogni fermata ricorda le modalità, brutali, con cui avvengono i femminicidi: “Coltelli e pugnali”, “pugni, calci e testate”, “martelli, bastoni, spranghe e rastrelli”. Ma anche “pistole e fucili”, “sciarpe, cuscini e sacchetti di plastica”, “liquido infiammabile e accendino”. L’ultima fermata si intitola “oppure…” ed è dedicata alle donne che si sono salvate perché sono riuscite a dire “basta”.

L’iniziativa – patrocinata dal Municipio 3 e realizzata con il contributo di cittadini e associazioni di zona – si ispira a “Zapatos Rojos”, il progetto di arte pubblica della messicana Elina Chauvet. A Milano hanno partecipato in tanti alla realizzazione: OrMe Ortica Memoria, Circolo dell’Ortica, Coop Ortica, Cooperativa Antonietta, Associazione Oikia, Acli Lambrate, Mai da sole Centro antiviolenza, Cortili solidali, Aned, Anpi, Anpc, Spi, ViviRubattino e Mamme Rubattino.

Un progetto corale. A rendere possibile un progetto di arte partecipata in piena pandemia è stata la volontà di ciascuno di realizzare qualcosa. C’è chi ha donato le scarpe e chi si è occupato di verniciarle, chi ha comprato i materiali e chi ha raccolto le storie delle donne. Storie che la drammaturga Elena Cerasetti ha trasformato in dialoghi interiori, dando voce a quello che avrebbero detto queste donne se si fossero salvate dalla violenza.

Stazione dopo stazione, lungo questa via crucis laica, scorrono storie di donne da tutta Italia, che hanno subito violenza, fisica o psicologica, durante il lockdown. Storie di donne che muoiono nel silenzio delle mura domestiche. O da sole, in ospedale, perché con una pandemia in corso nessuno può entrare per le visite. Come Nina, di Napoli, tre figli e un marito violento. Morta per un’emorragia provocata dalle botte prese, dopo un’agonia di settimane. Sua madre era in pronto soccorso ad aspettare notizie. Non la riabbraccerà più.

Lorena, 27 anni, uccisa a pochi mesi dalla laurea in Medicina. Il suo fidanzato, infermiere, le ha spaccato una lampada in faccia, l’ha accoltellata e poi l’ha soffocata. “Mi ha contagiato”, ha detto alla polizia tentando di giustificare il terribile gesto. Non era vero. E se anche lo fosse stato? Lorena non si laureerà. Il suo sogno di diventare ginecologa e fare nascere i bambini non si realizzerà. La vita di Lorena è finita per mano di chi diceva di amarla.

Poi c’è Luana, che sparisce per 44 giorni. La ritroveranno in fondo a un pozzo, senza vita. Verrà riconosciuta solamente da un tatuaggio, dedicato alla madre.

Ma c’è anche chi, da questo incubo domestico, è riuscita a uscire. Come Grazia che, dopo una vita di insulti e abusi, sia psicologici che fisici, ha capito di avere bisogno d’aiuto. Lo ha capito quando il figlio, dopo anni a osservare come si comportava il papà, ha iniziato a urlare e a picchiare sua sorella più piccola. A quel punto Grazia apre gli occhi, alza il telefono e chiede aiuto.

Le stazioni ospitano un numero variabile di scarpette rosse e di racconti. Tutte le storie raccolte sono successe durante il lockdown. Perché, se per la maggior parte delle persone stare chiusi in casa era un modo per tenersi al sicuro dal virus, per altre si è trasformato in un incubo.

Secondo i dati del ministero dell’Interno, anche se c’è una diminuzione di quasi tutti i reati rispetto al 2019, nel periodo compreso tra marzo e maggio, i reati di minaccia, lesione personale e percosse in ambito familiare sono aumentati rispetto ai mesi precedenti. La percentuale sul totale di questi reati in ambito domestico passa dal 13 per cento di febbraio al 16 di aprile. Mentre i maltrattamenti aumentano di oltre cento casi tra marzo e aprile (1.453), salendo ancora, fino al picco di maggio (1.697). E se anche gli omicidi volontari, in generale, tra gennaio e giugno diminuiscono rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, aumentano quelli con le donne come vittime.

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