Lettere a Litchfield – “Oggi vogliamo risarcire gli studenti per una tappa importante della vita che hanno perso”

Gli esami di maturità ai tempi del coronavirus sono iniziati oggi. La pandemia in questi mesi ha travolto la scuola. Da febbraio, in Lombardia – e poco più tardi in altre regioni – studenti e professori si sono cimentati con la didattica a distanza. Lezioni online, canali Youtube, video-laboratori. Si è provato a portare avanti i programmi in tutti i modi possibili, pur senza poter andare a scuola. E la maturità non poteva passare indenne.

L’esame è stato ripensato. Niente più prove scritte, c’è solo un maxi orale. In un’ora gli studenti devono esporre un elaborato sulla materia d’indirizzo, analizzare un testo di letteratura italiana, svolgere un colloquio multidisciplinare, parlare della propria esperienza di alternanza scuola-lavoro e, infine, rispondere alle domande di Cittadinanza e Costituzione. Un esame che, a differenza di quello di terza media, si svolge in presenza. A sedersi davanti alla commissione, non più di cinque persone al giorno. E la decisione su quali sarebbero state le prove è arrivata solo a metà maggio, stravolgendo l’idea di maturità che i ragazzi e i professori, tra una riforma e l’altra, hanno sempre avuto.

Abbiamo chiesto a un commissario di questi esami di Stato 2020, così speciali, di raccontarci com’è stata questa prima giornata. Elena D’Incerti, 56 anni, è una professoressa di lettere del liceo classico Beccaria di via Linneo, a Milano. Ci ha scritto questa lettera.

Elena D’Incerti

Ore 8.15: incerti se il protocollo sanitario permetta o no di varcare il cancello del liceo, i primi candidati sono già pronti a entrare. Sono accompagnati, come recita la normativa, da una sola persona: si vedono amici, fidanzati, fratelli. Genitori invece, non pervenuti. Altri stazionano fuori, curiosi e trepidanti perché domani o tra una settimana toccherà a loro.

Gli umori? Sembra incredibile, ma sembrano quelli di sempre nonostante l’atmosfera vagamente sottotono: nervosismo, ansia, emozione, compresa quella di rientrare in una scuola lasciata senza preavviso un giorno di febbraio, di riappropriarsi delle aule del liceo per concludere il percorso.

Anche le incognite, nonostante la commissione sia formata interamente da professori ‘interni’, sono una replica delle solite: Svevo lo so bene, anche Pascoli. Dante, no, speriamo di no; piuttosto Leopardi, c’è tanto da dire…’.

I prof sfilano a loro volta e dispensano gli incoraggiamenti dell’ultimo momento. Niente pacche sulla spalla, ovviamente vietati, ma sguardi rassicuranti che sbucano dalle mascherine: già, le mascherine. Tutti le indossano e decifrare la comunicazione che parte dagli occhi diventa importantissimo.

L’edificio scolastico ha spazi riorganizzati e tempi nuovi: rilevamento della temperatura all’ingresso, consegna dell’autocertificazione ai commessi, percorsi obbligati per l’entrata e l’uscita (qualcuno, in preda al panico da esame, riesce a perdersi) e l’impressione un po’ desolante è che questa scuola non sia ancora viva, anzi, sia molto vuota. Se si urlasse (e nessuno lo fa), i corridori rimbomberebbero.

Il colloquio ha tempi rigidamente scanditi: non più di un’ora; tra un colloquio e l’altro è prevista anche una sanificazione dell’aula. Dopo i primi candidati tutti, prof e bidelli, prendono il ritmo di questi protocolli impensabili fino a pochi mesi fa.

Si parte con la discussione dell’elaborato inviato qualche giorno fa sulle materie d’indirizzo (per noi latino e greco): i prof incarnano per bene il loro ruolo di commissari interni e ne valorizzano i punti di forza, i ragazzi per lo più confermano con una certa soddisfazione.

I primi cinque minuti volano così e si passa a italiano, un momento concepito come ‘surrogato’ del tema scritto che quest’anno non c’è: è l’analisi di un testo scelto tra quelli in programma. Poca erudizione libresca, molta analisi delle forme, tanti collegamenti e qualche incursione nell’attualità: dal nazionalismo al razzismo è un attimo, ma soprattutto è l’attimo che permette ai ragazzi di procedere sempre meno ingessati mentre le lancette dell’orologio corrono.

Il colloquio vero e proprio parte da un documento scelto dai commissari (niente buste come un anno fa): i documenti più gettonati sono stralci di testi, citazioni, ma soprattutto immagini, che sono facili da condividere sulla lim, sono più immediate e permettono di non maneggiare troppa carta che in questo esame è percepita come portatrice di peste.  E qui si inanellano storia, filosofia, arte, ma se si riesce (siamo al classico!….) anche fisica e scienze (genetica, bioetica, ambiente vanno per la maggiore). Qualcuno fa riferimento all’emergenza Covid: è chiaro che in molti hanno voglia di raccontare l’evento che ci ha travolti.

In un attimo si passa a raccontare l’esperienza (spesso interrotta come tutto il resto) di alternanza scuola lavoro; i più accorti si sono preparati e ci infilano anche un accenno alla Costituzione. Si arriva come da copione alla domanda di rito: ‘Che vuoi fare da domani? Le idee sono chiare quasi per tutti, le facoltà che hanno in mente sono quelle dei candidati degli anni scorsi: medicina, economia, ingegneria, giurisprudenza. I sogni sono uguali, il mondo che li attende chissà.

Escono in silenzio: gruppetti di amici aspettano i ragazzi con la giacca blu che era rimasta chiusa nell’armadio da mesi e le ragazze con l’abitino elegante, qualcuno per porgere addirittura un mazzo di fiori. Niente spumante da stappare, come si era visto in passato: la parola d’ordine pare proprio sobrietà. I sorrisi sono però liberatori, come è giusto, e probabilmente lo saranno anche i voti finali.

Per mesi noi prof siamo entrati nelle loro camerette e loro nelle nostre case: il rapporto che si è creato è inedito e innegabilmente più stretto.

Molti di noi non avrebbero voluto l’esame in presenza: per cautela, perché come esame ‘di Stato’ questo maxi orale non è molto credibile, perché le nostre energie adesso dovrebbero essere convogliate a organizzare una riapertura autunnale che è già qui. Eppure oggi sentiamo tutti di dover risarcire questi ragazzi di una tappa importante della loro storia scolastica e di doverli investire della responsabilità di rimboccarsi le maniche e contribuire presto, molto presto, a questa rinascita che assomiglia a un dopoguerra.

Certo che stamattina è difficile limitarsi a un saluto e a un congedo col contatto dei gomiti, molto difficile. La tentazione di abbassare la mascherina e di non parlare solo con gli occhi diventa, alla fine di ogni orale, una necessità”.

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