La fatica di riappropriarci delle nostre vite fuori di casa. La psicologa ci spiega come stiamo affrontando la Fase Due

Come si vive la fine del lockdown? Che cosa scatta nelle nostre teste? Si può avere paura di tornare alla normalità? Perché ci sono persone che, ben prima del 18 maggio, si comportavano come se fosse finita la quarantena?

Abbiamo parlato della Fase Due con Ilaria Albano, la psicologa che durante questo lockdown ha lanciato la #carapsicologachallange – iniziativa che abbiamo raccontato tempo fa – e con cui abbiamo avuto modo di confrontarci su diverse questioni legate al nostro stare in casa durante il lockdown o su cosa potrebbe cambiare nelle nostre vite quando si tornerà alla normalità.

Ilaria Albano

Con l’inizio della Fase Due la gente si è riversata nelle strade. Nonostante le regole imponessero di uscire solo con motivazione, senza fare assembramento, molti sembravano fare finta di non capire e si comportavano come se fosse stato un “liberi tutti”. Come mai?

“La fine della Fase Uno ha rappresentato la conclusione di un periodo duro e, una volta terminato, in molti hanno avuto l’illusione di riprendere al più presto con la vita di prima. In realtà, sappiamo bene che la fase due è solo parte di un processo, molto più lungo e strutturato. Penso che questa esasperazione sia dovuta al forte bisogno di accelerare i tempi, di superare la frustrazione, complice anche l’ambiguità di alcune terminologie usate nel comunicare le nuove disposizioni (si pensi al dibattito sui ‘congiunti’). Abbiamo ‘interpretato’ le regole in funzione dei nostri bisogni più urgenti: ecco, quindi, il proliferare di pareri tecnici ‘fatti in casa’ o la ricerca ossessiva di cavilli burocratici, per aggirare o mettere in discussione tali disposizioni. Distratti da questi aspetti, il buon senso è spesso passato in secondo piano”.

Il fatto che gradualmente stiano riaprendo negozi, attività e si allentino i divieti, cosa scatena psicologicamente nelle persone chiuse in casa da mesi?

“Per molti questa nuova fase rappresenta un cambiamento positivo, una spinta all’azione, un segnale di speranza, soprattutto per chi si è sentito immobile durante il lockdown. Penso soprattutto ai commercianti e a chi ha subito il blocco anche a livello economico: è arrivato finalmente quel momento di slancio e positività che aspettavamo da tempo. Questo non significa, però, che siamo tutti felici: per molte persone l’idea di dover lasciare casa, riprendere le uscite e frequentare luoghi pubblici non è più così desiderabile. Molti chiamano questa condizione emotiva ‘sindrome della capanna’, descrivendo la paura di dover abbandonare i propri spazi per ritornare in un mondo che potrebbe essere molto diverso dalle nostre aspettative”.

Quindi è possibile che qualcuno, ormai abituato a non uscire e avendo cambiato abitudini, viva questo ritorno alla normalità con apprensione o altri sentimenti come preoccupazione, frustrazione, chiusura?

“Sì, siamo passati dalla Fase Uno alla Fase Due da un giorno all’altro, ma quando parliamo di emozioni, il passaggio non è sempre così netto. Il pensiero di dover riprendere le attività quotidiane, come ritornare in ufficio o utilizzare la metropolitana, può renderci preoccupati e farci stare in ansia, anche in questa nuova fase. Questo malessere ha ragione di esistere soprattutto in chi, proprio grazie al lockdown, ha imparato a riappropriarsi degli spazi domestici, utilizzando questa finestra temporale per rivalutare ciò che è davvero importante per sé. Il pensiero di dover abbandonare il mondo creato in questi mesi può spaventare, poiché implica il dover affrontare una rinuncia, che può riguardare il tempo speso in famiglia, col partner o con se stessi”.

Questa gradualità di riapertura può aiutare psicologicamente a tornare alla normalità senza traumi o può essere frustrante il fatto che non si torni subito a com’era la vita quando non c’era il coronavirus?

“Penso che questa sia la nostra vera salvezza, anche dal punto di vista psicologico. Le terapie d’urto non funzionano quasi mai e, immergersi improvvisamente nella vita di prima, sarebbe rischioso per molte persone. Meglio iniziare dalle piccole cose, riprendendo passo dopo passo i propri ritmi e distanziandoci gradualmente anche dalle quelle cattive abitudini che hanno caratterizzato il nostro lockdown. Molte persone mi riferiscono di provare stanchezza anche a seguito di questa ripresa graduale, ma è normale sentirsi un po’ fuori luogo adesso. L’importante è iniziare, senza forzarsi nel riprendere gli stessi ritmi frenetici di qualche mese fa”.

Ha notato un cambiamento nei temi che le portano le persone che la contattano in quest’ultimo periodo, rispetto a quanto era emerso qualche settimana fa in pieno lockdown?

“Certo, prima abbiamo dovuto mettere da parte i problemi al di fuori delle nostre case, per gestire una situazione di emergenza, incapaci di immaginare quale sarebbe stata l’evoluzione della nostra vita nei mesi successivi. Adesso, invece, dobbiamo fare i conti con tutto ciò che avevamo lasciato in sospeso: alcuni problemi non esistono più, ma altri hanno assunto nuove forme. O, ancora, possiamo essere noi stessi a essere cambiati: se in queste settimane abbiamo acquisito nuove consapevolezze, rendendoci conto, ad esempio, di voler cambiare lavoro, partner o altri aspetti importanti della nostra vita, adesso non possiamo più rimandare e ci ritroviamo a dover affrontare le conseguenze di questi cambiamenti. E non è affatto facile”.

Abbiamo percepito che la gente è molto nervosa. Sembra più invogliata a discutere, litigare e vomitare odio addosso con pretesti minimi. Come è successo per il caso di Silvia Romano, ad esempio, ma non ci riferiamo solo a quello. Secondo lei il lockdown ha influito su questa propensione?

“Tempo fa vi dissi che questo lockdown poteva essere un’occasione per migliorarsi, ma con grande rammarico ho notato anch’io che molti non hanno affatto colto questa opportunità. Sarebbe facile incolpare il lockdown per tutto l’odio che è presente online, ma il passato ci dice che non è così e, con o senza pandemia, i cervelli più ‘pigri’ fanno davvero fatica ad andare oltre i propri preconcetti. Per questo aspetto, il lockdown non ci ha migliorati, nè peggiorati: semplicemente, siamo rimasti uguali. Fortunatamente, però, non siamo tutti così e stiamo sovrastimando quella che solo è una piccola parte della popolazione, anche se molto rumorosa. Voglio sperare che questo periodo rappresenti ancora un’occasione di crescita sociale e credo che molti stiano davvero facendo tesoro di questo periodo per migliorarsi e sviluppare empatia e apertura nei confronti del prossimo”. 

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