“Sono un’operatrice sanitaria: questa è la partita più dura. Ma dal calcio ho imparato a non mollare mai. E ora lo insegno a voi”

Londra, 23 marzo 1895. Un gruppo di ragazze, divise in due squadre, scende in campo, inconsapevole di scrivere una pagina di storia. Quel giorno di 125 anni fa segna l’inizio del calcio femminile. Forse non un primato (negli annali scozzesi si registrano casi di partite al femminile fin dalla fine del Settecento), ma questo evento segnò senz’altro un’epoca.

Cosa accadde? Quelle ragazze risposero a un annuncio su un giornale. A scriverlo fu Nettie Honeyball, un’intraprendente cassiera che adorava il football e che poi diventerà l’ideatrice della prima Lega calcistica in rosa.

E, se oggi sono sempre più le ragazze che si avvicinano al calcio femminile, quello è stato il primo passo per farlo nascere.

Per ricordare questo anniversario, abbiamo preparato dei video: come si fa a palleggiare? Cos’è una “veronica”? Come si dribbla?

Francesca ci guida negli esercizi e ci mostra come iniziare a muovere i primi passi con il pallone, anche in questi giorni di isolamento a casa. Come? Bastano un rotolo di carta igienica e qualche bicchiere.

Guardate qui:

Lei è Francesca Tettamanti, ha 32 anni e lavora come operatore socio-sanitario (oss) all’ospedale Sant’Anna di Como. Da settimane è in prima linea per fronteggiare l’emergenza coronavirus. “La partita più dura”, dice. Ma il calcio “mi ha insegnato a non mollare mai”.

Francesca Tettamanti

A sei anni, Francesca ha iniziato a giocare in una squadra di calcio. Da allora, non ha mai smesso. Il calcio? “Mi ha insegnato che nella vita c’è sempre qualcuno più bravo di te, ma devi mettercela tutta, sempre. Altrimenti resti in panchina”.

Ci scrive Francesca:

Ho iniziato a giocare a calcio nel 1993. La mia squadra si chiamava “Voluntas”, che significa “volontà”. E, a ripensarci, ero molto determinata. Avevo sei anni ed ero l’unica bambina in una squadra di soli maschi. 

Ci allenavamo al campo dell’oratorio davanti a casa mia, a Como. Mi portava mia mamma, che non si è mai persa una partita. Tutta la mia passione per il calcio e la possibilità che ho avuto di coltivare questo sogno lo devo a lei e a mio papà.

Nella “Voluntas” ho giocato quattro anni, fino a quando ho potuto. Poi ho dovuto lasciare la squadra perché il regolamento diceva che non potevo più continuare a giocare con i maschi. 

Ma quelli sono stati gli anni più belli della mia vita. Li ricordo ancora oggi. Nonostante fossi l’unica bambina, nessuno mi ha mai fatto sentire diversa. I miei compagni di squadra mi hanno sempre trattato da pari e a ogni mio gol venivano tutti ad abbracciarmi, erano felici per me. 

Ricordo ancora i nomi dei miei allenatori: Luca, Cristian, il Nando. Da loro ho imparato tanto. E non solo schemi, giocate e dribbling. Mi hanno insegnato a essere una campionessa. In campo e, sopratutto, nella vita. Devo molto di quello che sono oggi alle ore spese su quel rettangolo di ghiaia e sabbia.

Il calcio mi ha insegnato a stare in una squadra, a relazionarmi con le persone. Mi ha insegnato che devi impegnarti sempre, altrimenti c’è qualcun altro che gioca al tuo posto. Mi ha insegnato anche che c’è sempre qualcuno più bravo di te, ma l’importante è mettercela tutta. Mi ha insegnato a comportarmi bene, in campo e fuori, e a rispettare l’avversario. 

Oggi gioco in una squadra femminile. E alleno i ragazzini di undici anni della polisportiva “Aurora” di Montano Lucino, in provincia di Como. E i bambini di cinque, sei e sette anni. Ho iniziato un po’ per scherzo, per mettermi alla prova. Ma anche con il pensiero che l’età avanza e so che un giorno dovrò appendere gli scarpini al chiodo. Ma non voglio lasciare questo mondo. Perché il calcio è, e sarà sempre, parte della mia vita.

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